Munira e Ghennet

“Siamo partite in 5. Siamo arrivate in 2”

A Roma, assieme ai corpi stanchi di Munira e Ghennet, arrivano le storie di tutte e 5 le giovani ragazze.

Quella di Rumela, che il confine con il Sudan non è mai riuscita ad attraversarlo.

“Dei militari sudanesi hanno portato via Rumela. Abbiamo urlato, protestato. Ci hanno detto che se non avessimo smesso di gridare ci avrebbero uccise o, peggio ancora, respinte in Eritrea. Non l’abbiamo più rivista.”

Avevano solo 16 anni quando sono arrivate in Sudan. Sono rimaste lì per 8 anni. Hanno lavorato come domestiche.

Decidono di partire perché in Sudan il clima di intolleranza e violenza nei confronti dei profughi eritrei è sempre più opprimente.

“Zeudi era una nostra compagna di scuola. Ma la scuola in Eritrea non è una vera scuola. Ci sono controlli continui e punizioni senza motivo.

E poi c’è la leva militare obbligatoria che consiste, in realtà, in lavori forzati.

Non c’è tempo per studiare, ma se non ottieni ottimi voti non c’è alcuna speranza di essere esentato. È un circolo vizioso. Un sistema asfissiante.”

Zeudi e Lula – raccontano le due giovani donne – sono ancora in Libia.

“Sappiamo che sono vive, sappiamo anche dove sono state rinchiuse e preghiamo tutti i giorni perché riescano a salvarsi, perché le liberino.

Di quello che succede in quelle stanze, di quello che ci è successo non ne parlerò mai. Dobbiamo dimenticare tutto. Altrimenti non possiamo continuare a vivere e noi vogliamo vivere”

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